Gli Enti religiosi civilmente riconosciuti , caratterizzati dalla specificità della contemporanea presenza del fine di religione e di culto, svolgono tradizionalmente numerose attività di "interesse generale" regolate dalla Riforma del Terzo Settore ( D.Lgs. n.117/2017- Codice del Terzo Settore ) e dal D.Lgs. n.112/2017 (c.d. decreto sull'impresa sociale).
Si possono menzionare più in particolare attività che hanno ad oggetto:
- l'integrazione sociale dei migranti";
- gli "interventi e servizi sociali" compresa "l'accoglienza umanitaria";
- lo svolgimento di "prestazioni sanitarie";
- la "formazione extra scolastica finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica", ma anche "l'organizzazione gestione di attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale" sono solo alcune delle attività svolte dagli Enti religiosi civilmente riconosciuti coincidenti con le attività di interesse generale previste tanto dal D.Lgs. 117/2017 (Codice del Terzo Settore, CTS) quanto dal D.Lgs. n. 112/2017 (Decreto legislativo sulle Imprese Sociali, DIS).
Tuttavia, tali Enti sono caratterizzati da una particolare natura che non consente l'immediata e diretta applicazione delle sopraindicate normative.
E infatti, la specificità di tali enti – e in particolare, degli Enti ecclesiastici della Chiesa Cattolica – è dovuta, da un lato, al fatto che gli stessi appartengono a un ordinamento diverso da quello dello Stato italiano – la Chiesa Cattolica, appunto – che la Costituzione riconosce come Sovrano; dall'altro, al fatto che le norme concordatarie, pur riconoscendo che le attività dei predetti enti (diverse da quelle di religione e di culto) sono subordinate alle leggi dello Stato, ne condizionano l'applicabilità al rispetto alla struttura e finalità.
Ne deriva una commistione normativa che richiede un particolare adeguamento, al fine di contemperare la previsione del diritto comune con la specificità della natura di ente ecclesiastico.
Tale "adeguamento" si realizza tramite la costituzione di un "ramo" dedicato alle attività di interesse generale, che assume la qualifica di Ente del Terzo Settore (ETS) o di Impresa Sociale, ai sensi dell'art. 4, comma 3 del CTS o dell'art. 1, comma 3, del DIS.
Tale modalità organizzativa, consente all'Ente religioso civilmente riconosciuto una serie di indubbi vantaggi, tra i quali: l'accesso a finanziamenti e agevolazioni fiscali riservati agli ETS, una maggiore visibilità e riconoscimento a livello nazionale e la possibilità di collaborare con altri enti del Terzo Settore per realizzare progetti comuni.
Ciò che è importante evidenziare è che con la costituzione del "Ramo" l'Ente religioso non perde la sua identità e il suo patrimonio. Il ramo ETS o Impresa Sociale è, infatti, autonomo ed è dotato di un proprio regolamento. La gestione del ramo deve essere trasparente e responsabile.
L'Ente ecclesiastico, il cui fine di religione e di culto è essenziale, così come è irrinunciabile la soggezione alle norme dell'ordinamento canonico, può pertanto svolgere alcune delle proprie attività sotto l'egida del CTS o del DIS solo ove costituisca uno specifico "ramo ETS o IS"( impresa sociale).
Nel caso di svolgimento di attività di interesse generale previste dal CTS e dal DIS, tramite la costituzione di un'articolazione funzionalmente autonoma rispetto alle propria, gli Enti religiosi sono tenuti al rispetto delle condizioni che seguono:
1) adozione di un Regolamento specifico;
2) costituzione di un patrimonio destinato;
3) separazione delle scritture contabili.
La prima condizione è rappresentata dall'adozione di un Regolamento specifico, in forma di atto pubblico o di scrittura privata o autenticata, da depositare presso il Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS).
Il Regolamento è comparabile con lo Statuto di un ente, dovendo contenere, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, la disciplina caratterizzante del ramo ETS o IS.
Inoltre, il Regolamento deve essere riferito esclusivamente alle norme che disciplinano l'attività del ramo, con esclusione di quelle non applicabili agli Enti religiosi (a titolo di esempio: l'art. 12 sull'indicazione, nella denominazione sociale, di Ente del Terzo Settore o dell'acronimo ETS, oppure l'art. 15 sul diritto degli aderenti/associati di esaminare i libri sociali secondo le modalità previste dall'atto costitutivo o dallo statuto).
Quanto al contenuto del Regolamento ,che deve essere sottoposto all'autorizzazione dell'autorità religiosa competente, l'art. 14 del Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali n. 106/2021 (Istitutivo del RUNTS) prevede che esso debba:
a) individuare le attività di interesse generale di cui all'art. 5 CTS ed eventualmente prevedere lo svolgimento di attività diverse ai sensi dell'art. 6 del CTS;
b) vietare la distribuzione di utili a norma dell'art. 8, commi 2 e 3, del CTS;
c) individuare il patrimonio destinato per lo svolgimento delle attività di cui alla lettera a), che può essere individuato con un atto distinto, da allegare al regolamento;
d) prevedere la devoluzione ad altri ETS dell'incremento patrimoniale realizzato negli esercizi in cui l'ente è stato iscritto nel RUNTS;
e) prevedere l'obbligo di tenere separate le scritture contabili relative allo svolgimento delle attività di cui alla lettera a) dalle scritture contabili relative ad ogni altra attività dell'ente;
f) disciplinare con riferimento alle attività di cui alla lettera a) la tenuta delle scritture contabili, prevedere e disciplinare la redazione del bilancio di esercizio, la predisposizione del bilancio sociale ove prevista, la tenuta dei libri sociali obbligatori in conformità con la struttura dell'ente, nonché́ il trattamento economico e normativo dei lavoratori a norma, rispettivamente, degli artt. 13, 14 comma 1, 15 e 16 del CTS;
g) disciplinare, per lo svolgimento delle attività di cui alla lettera a), i poteri di rappresentanza e di gestione, con specifica indicazione delle eventuali limitazioni e dei relativi controlli interni, se previsti dall'ordinamento confessionale, in conformità alle risultanze del Registro delle persone giuridiche nel quale gli enti religiosi civilmente riconosciuti sono iscritti;
h) prevedere espressamente, con riferimento alle attività di cui alla lettera a), le condizioni di validità o di efficacia degli atti giuridici prescritte per gli enti religiosi civilmente riconosciuti dai relativi ordinamenti confessionali, ove tali condizioni abbiano rilevanza ai sensi di legge.
In particolare, con riferimento all'attività esercitata dal ramo, questa deve essere compresa tra quelle di cui all'art. 5 del CTS e, pertanto, deve trattarsi di una "attività di interesse generale".
Tali attività devono perseguire, senza scopo di lucro, le finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale che saranno proprie del "ramo", a differenza di quelle dell'Ente religioso che, a mente del diritto canonico, hanno finalità di religione e di culto.
Si evidenzia che il ramo può svolgere anche attività diverse. Possibilità, quest'ultima, non originariamente prevista dal CTS, la cui lacuna è stata colmata dall'articolo 66 della L. 29 luglio 2021 n. 108 di conversione del D.L. 77/2021 che ha introdotto, anche per il ramo costituito dall'Ente religioso, la possibilità di svolgere le attività di cui all'art. 6 del CTS.
Anche con riferimento a tali Enti vale il divieto di lucro soggettivo, posto a presidio della conservazione dell'integrità patrimoniale del ramo in funzione del perseguimento delle finalità statutarie.
In questo senso, deve intendersi il disposto dell'art. 8, comma 1 CTS, a mente del quale: "il patrimonio degli enti del terzo settore, comprensivo di eventuali ricavi, rendite, proventi, entrate comunque denominate, e destinato allo svolgimento dell'attività statutaria di interesse generale per l'esclusivo perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale".
Ne consegue che l'Ente religioso è obbligato al reimpiego degli utili conseguiti nell'attività svolta dal ramo, senza possibilità di altre destinazioni, il che ulteriormente vuol dire, ad esempio, che non potranno esservi trasferimenti di fondi dal ramo all'Ente ecclesiastico.
Anche per il ramo ETS, vale l'art. 9, comma 1 del CTS, a mente del quale, in caso di estinzione o scioglimento dello stesso, il patrimonio residuo sia devoluto, previo parere positivo dell'ufficio RUNTS, e salva diversa destinazione imposta dalla legge, ad altri enti del terzo settore, secondo le disposizioni dello statuto o dell'organo sociale competente o, in mancanza, alla fondazione Italia sociale.
Diverso trattamento, invece, è previsto per il ramo IS, nella misura in cui – inspiegabilmente – l'art. 12, comma 5, del DIS dispone che la norma sulla devoluzione del patrimonio non si applichi agli enti religiosi civilmente riconosciuti.
Ulteriore ipotesi da considerare è quella del "ramo" che perde i requisiti necessari per la permanenza nel RUNTS.
Sul punto, l'art. 50, comma 2, del CTS prevede che l'ente cancellato dal registro per mancanza dei requisiti e che, tuttavia, voglia continuare a operare i sensi del codice civile, debba preventivamente devolvere il patrimonio ai sensi dell'art. 9 del CTS, limitatamente all'incremento patrimoniale realizzato negli esercizi in cui l'ente è stato iscritto nel RUNTS.
Il patrimonio da devolvere è, ovviamente, solo quello relativo al ramo.
In questo senso, viene codificata legislativamente una indicazione contenuta nella circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 59 del 31 ottobre 2007 che, con riferimento alle ONLUS, nell'ipotesi di perdita di tale qualità e di devoluzione del patrimonio, ha previsto la scissione tra patrimonio preesistente e quello cumulato in regime della qualifica.
Con riferimento al patrimonio destinato, ci si è chiesti se, anche in ragione della terminologia utilizzata, dovesse trovare applicazione l'art. 2447-bis del codice civile che disciplina il patrimonio destinato per le società per azioni.
Sul punto è intervenuto il Consiglio Nazionale del Notariato (studio numero 102/ 2018 del 19 aprile 2018) che ha evidenziato come, rispetto a tali enti, non ricorrano i presupposti per l'applicazione dell'art. 2447 bis del codice civile. Sebbene, infatti, "il presupposto è che gli enti ecclesiastici in questione siano civilmente riconosciuti, manca un sistema di pubblicità in grado di garantire adeguatamente la piena opportunità ai terzi della separazione patrimoniale. Appare invece più coerente ragionare in termini di destinazione, ma con caratteristiche diverse da quelle tipiche dei patrimoni destinati alle società".
Il patrimonio dell'ente religioso, dovrà pertanto avere la seguente configurazione:
– "patrimonio libero", relativo all'attività di religione e di culto dell'ente e per esigenze di sostentamento dei suoi membri;
– patrimonio relativo ad attività diverse da quelle religiose e di culto non rientranti nel ramo;
– "patrimonio destinato" alle attività del terzo settore.
Sempre con riferimento al patrimonio, l'art. 66, comma 1 e 1bis della L. 108/2021, di conversione del D.L. 77/2021, tanto con riferimento al ramo ETS che al ramo IS, ha introdotto le seguenti regole:
1. i beni che compongono il patrimonio destinato sono indicati dal regolamento, anche con atto distinto adesso allegato;
2. per le obbligazioni contratte in relazione alle attività di cui agli artt. 5 e 6 del CTS, gli enti religiosi civilmente riconosciuti rispondono nei limiti del patrimonio destinato;
3. gli altri creditori dell'ente religioso civilmente riconosciuto non possono far prevalere alcun diritto sul patrimonio destinato allo svolgimento dell'attività di cui ai citati artt. 5 e 6 del CTS.
L'intento del legislatore è stato quello di attribuire un effetto segregativo alla costituzione del patrimonio destinato, anche in considerazione del regime di pubblicità legale cui esso soggetto mediante l'iscrizione nel RUNTS.
In altre parole: soltanto il "patrimonio destinato" risponde dei debiti delle attività del ramo, pertanto i creditori di quest'ultimo non possono soddisfarsi sui restanti beni dell'ente religioso. D'altra parte, i creditori dell'ente religioso e di culto non possono aggredire il patrimonio destinato delle del ramo ETS o IS.
Da ultimo, sempre in considerazione del menzionato effetto segregativo e per evitare commistioni, l'Ente religioso è tenuto ad osservare le norme del CTS o del DIS in relazione alla contabilità e al bilancio, per quanto riguarda le operazioni economiche, finanziarie e patrimoniali di tutte le attività inserite nel ramo.
Tra queste, la principale è quella che consiste nell'obbligo di svolgere le attività del ramo con contabilità separata: vale a dire è necessario separare le operazioni relative al ramo, da quelle istituzionali di religione e di culto e da quelle relative ad eventuali attività commerciali non inerenti al ramo esercitate dall'ente.
Lo scopo di tale disposizione è quello di rendere più trasparente l'attività del ramo.
Sotto tale profilo si ricorda la risoluzione dell'Agenzia delle Entrate n. 86/E/ 2002 che, con riferimento alle modalità di tenuta della contabilità per gli enti non commerciali, ha precisato che è sufficiente la tenuta di un unico piano dei conti strutturato in modo da poter individuare in ogni momento le voci destinate alle attività istituzionali e quelle destinate all'attività commerciale e che permetta di distinguere le diverse movimentazioni relative ad ogni attività.